In principio fu Guido D’Arezzo. Molto prima dei lettori MP3 e Spotify, all’origine di tutto c’è questo monaco di Arezzo dall’orecchio particolarmente fine. Ormai lo avete capito, da qualsiasi parte vogliate affrontare la Storia, questa vi riporterà in Toscana. Così recita un passo del Manifesto di TuscanDogma, ma questo non vale solo per la Storia. Non c’è forma d’arte studiando la quale non si arrivi prima o poi a parlare di Toscana, e la musica non fa eccezione. Eccoci quindi a cavallo dell’anno mille incontrare un monaco benedettino eccezionale, Guido d’Arezzo, l’ideatore delle note musicali così come oggi le conosciamo.

Guido nacque intorno al 991, ma le informazioni sia sulla data di nascita che sulla esatta data di morte sono scarse. Quello che è certo è che insegnò musica sulla costa adriatica prima di trasferirsi ad Arezzo, dove scrisse il suo elaborato più famoso, il Micrologus, un testo fondamentale destinato a diventare il trattato di musica più letto del medio evo.

Da insegnante di musica, Guido si accorse delle difficoltà dei suo confratelli a memorizzare i canti della tradizione gregoriana e la ritmica. Ideò allora un metodo d’insegnamento nuovo che lo rese celebre al punto da essere invitato a Roma da Papa Giovanni XIX.  In sostanza,  codificò  il modo di scrivere le note  definendo le posizioni di esse sulle righe e negli spazi del rigo musicale.  Nel metodo di Guido si utilizzavano quattro righe (non il moderno pentagramma, introdotto in seguito) ovvero un  tetragramma.

Per aiutare gli altri monaci a ricordare le note, Guido D’Arezzo  usò le sillabe iniziali dei versi dell’inno a San Giovanni Battista (il Battista ancora lui, vedi Leonardo da Vinci e il Verrocchio)

«Ut queant laxis

Resonare fibris

Mira gestorum

Famuli tuorum

Solve polluti

Labii reatum

Sancte Iohannes»

ovvero tradotto:

«Affinché possano con libere

voci cantare

le meraviglie delle azioni

tue i (tuoi) servi,

cancella del contaminato

labbro il peccato,

o san Giovanni»

(Inno a San Giovanni)

Ed ecco dalle iniziali derivare i nomi delle note Ut-Re-Mi-Fa-Sol-La-Si così come oggi le conosciamo. Tutte escluso l’UT, che sarà ribattezzato DO  dal sempre toscano Giovanbattista Doni nel seicento.

Oggi, quando vi rimbambite con le cuffie o masterizzate senza pietà, sapete chi dovete ringraziare.

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Foto di Hans Braxmeier da Pixabay