Tutti sanno chi è Dante Alighieri. Anche coloro che hanno passato gli anni dell’obbligo scolastico a dormire nell’ultimo banco, seppur per assimilazione involontaria, sanno che è l’autore della Divina Commedia, e sanno che la Divina Commedia è l’atto fondante della lingua italiana. Non sarò io a ripetervi tutto questo . Il mio compito è portarvi oltre, e per questo devo spiegarvi perché la Divina Commedia è la prima serie della storia. Altro che House of Cards.

La Divina Commedia è il primo prodotto assimilabile ad una serie televisiva comparso nella Storia, con tanto di Spin-off, e tutto questo prima che la TV fosse inventata. Non solo, è anche il primo caso di viral marketing settecento anni prima di internet. Non ci credete? Andiamo per ordine.

La Divina Commedia viene scritta in un lungo arco di tempo, come del resto i Promessi Sposi del Manzoni, ma a differenza di quest’ultima opera non esce  in un’unica soluzione.  Inferno, Purgatorio e Paradiso escono in maniera indipendente ed ognuno crea l’attesa per il seguito. Dante riscuote infatti grande successo già con l’Inferno, e da subito si diffonde nelle corti la curiosità di capire chi sarà a finire in purgatorio e chi in paradiso. Non possiamo certo affermare che qualche servetta del castello sia stata impiccata per aver spoilerato il finale di un canto, ma che la “Commedia” sia stata un fenomeno mediatico ante litteram questo lo possiamo dire.

Non dimentichiamo che all’epoca pochissimi sapevano leggere. Dei canti venivano date letture pubbliche nelle corti e dai nobili la conoscenza dei versi passa presto alle maestranze del castello. Da queste al resto del popolo il passo è breve, ed ecco i versi imparati a memoria e recitati la sera “a veglia”  o all’osteria. Sì, Dante era già una Star in vita grazie a questo viral marketing medievale ma non fu solo questo a favorire la notorietà della sua opera. La condizione di “esiliato” sempre in fuga da una corte all’altra ha fatto sì che, oltre ad uscire in periodi diversi, la Divina Commedia sia uscita anche in città diverse, dando subito una dimensione “internazionale”.

Come in tutte le serie non è mancato il lancio ad effetto per l’ultima stagione. Quando Dante muore il figlio Jacopo si accorge che mancano 13 canti del Paradiso. Boccaccio racconta che i figli di Dante cercano dappertutto questi testi, ed io mi immagino che lo abbiamo fatto chiedendo a molte persone e di conseguenza spargendo la voce che il Paradiso non era completo. Pensate la suspense presso tutti coloro che avevano letto i canti precedenti. Secondo Boccaccio, il figlio Jacopo avrebbe poi sognato il padre che rivelava il nascondiglio delle sospirate carte che si sarebbero trovate dentro la crepa di un muro (manco i memoriali di Moro). Il figlio Jacopo sarà poi un grande promotore dell’opera del padre e forse il primo a scrivere una chiosa completa ai canti dell’inferno, dando il via ad una fortunata tradizione di commenti alla Divina Commedia. Insomma, vista a posteriori quella di Jacopo non è forse una riuscita operazione di marketing?

La Divina Commedia è da subito un fenomeno sociale. Già negli anni immediatamente successivi alla morte di Dante negli atti  di alcuni notai si trovano annotati  versi del Sommo Poeta. Questi professionisti usavano questo sistema per riempire le parti rimaste bianche nei contratti di modo che nessuno potesse aggiungere niente dopo la loro stesura. E lo spin-off che vi avevo promesso? Se non è forse adeguato definirlo così mi suggerirete voi come chiamarlo. Siamo ancora nel trecento quando il letterato Franco Sacchetti usa proprio Dante come protagonista di una delle sue trecento novelle. Nell’episodio dedicato a Dante, il Poeta cammina per strada passando davanti all’officina di un fabbro. L’artigiano sta declamando alcuni versi della Divina Commedia mentre lavora (come oggi uno magari fischietterebbe), ma lo fa sbagliando alcune parti. Dante allora si infuria a tal punto da entrare in bottega e cominciare a buttare nella via tutti gli attrezzi che gli capitano sotto mano. Il fabbro, ovviamente, si altera chiedendo spiegazioni che il Poeta puntualmente gli dà con parole che oggi potremmo tradurre così: “se non vuoi che metta mano nella tua roba tu non mettere mano nella mia!”

Infine, l’argomento che in genere si usa per primo: il titolo. L’opera di Dante non si chiamava Divina Commedia ma semplicemente Commedia. L’aggettivo “Divina” fu usato per la prima volta dal Boccaccio nel suo “trattatello in laude di Dante”, una vera e propria biografia scritta a circa trent’anni dalla morte del Sommo Poeta. Questa sì una cosa che si fa solo per le Stars.

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Foto di Waltteri Paulaharju da Pixabay